LA PATTUGLIA

TAVOLA SOLSTIZIO D'INVERNO 2014

Inverno

Mentre l'anno volge al termine, le notti si allungano e le ore di luce sono sempre più brevi, fino al giorno del Solstizio invernale, il 21 dicembre. 
Il respiro della natura è sospeso, nell'attesa di una trasformazione, e il tempo stesso pare fermarsi.

Non più erba, ma sterpi anneriti dal gelo, non luce né tepore. 
E' uno dei momenti di passaggio dell'anno, forse il più drammatico e paradossale: l'oscuritá regna sovrana, ma nel momento del suo trionfo, cede alla luce, che, lentamente, inizia a prevalere sulle brume invernali.


Così, come nel quotidiano, in ogni semplice azione, siamo coinvolti da curiosità, interessi, passioni, stanchezze, che spesso non riusciamo a coordinare razionalmente, così, nel decorrere delle stagioni della vita, siamo a volte trainati o sospinti da una specie di temporale affaticante, quasi da una bufera, gelida e pungente, di nefandi incontri e di grandi e piccole contrarietà.

La natura stessa parrebbe rifiutare l’azione, spingere all’oblio, celarsi nelle tenebre, negare la propria vitalità, costringerci e costringersi ad uno sfinimento che dal sonno scivola, sotto la neve, alla morte.

Quante volte è accaduto, quante volte accade…

È come essere di vedetta, isolato in un bosco d’inverno, dopo giorni di cammino, sempre di pattuglia, poco il riposo, scarso il cibo, insistente la stanchezza, ottenebrata la mente.

Si fatica a pensare, si disperdono i ricordi vivaci e positivi, ogni fibra del corpo spossata, ogni senso intorpidito.
Sempre buio, anche nelle ore di giorno: grigiore e nebbia, pioggia e neve, vento e gelo.
Quasi che le umane vicissitudini si fondessero alla pesantezza della stagione, in un crescendo sommesso ed in un silenzio assordante.
Si è stanchi, si marcia appesantiti, scoraggiati, sfiduciati.
La solitudine, il senso di orientamento che vacilla, la saldezza delle convinzioni che traballa, la fatica prolungata, macigni che riempiono il nostro zaino di esperienze accumulate.
Sembra che il sole non possa più ritornare, quasi non ci fosse, quasi non esistesse più nella nostra vita un caldo sorriso, una parola di conforto, una voce amata.


A volte questa marcia forzata nel fango al ginocchio, sempre controvento, stremati ed impauriti, fisicamente allo sfinimento, con gli spallacci dello zaino greve che segano le spalle, il tascapane svuotato, la borraccia vuota, le ultime cartucce inumidite, ci sembra infinita, insensata, assurda, soverchiante.



Allora, nel segreto e nel silenzio della riflessione individuale e profonda, mai domi, mai piegati, cerchiamo e ritroviamo le profonde motivazioni, rinnoviamo le speranze, riviviamo gli istanti di gioia e di allegria.

Rinnoviamo noi stessi, ritroviamo i veri, profondi, motivi di essenza e di esistenza, accettiamo serenamente i nostri limiti ed i nostri sforzi.

Sostiamo, a rinfrancare lo spirito ed il corpo, ascoltiamo noi stessi.
Rielaboriamo le gioie, le allegrie, le esperienze, le traversie, le malattie, le persone care presenti e passate, i successi e gli insuccessi.


E allora la vedetta sperduta si rende conto di non essere sola.
Altre voci nella nebbia della tormenta, che prima pareva di non poter udire, assordata dalla pioggia, distratta dal silenzio.
Altre pattuglie perlustrano il bosco, alla ricerca.

Altri uguali, animati dallo stesso spirito curioso e vivace di verità e di vita, scandagliano la notte, decisi, caparbi, stanchi e testardi.
Lampade preservate con parsimoniosa attenzione, sempre mantenute efficienti e preparate, vengono tratte dal profondo dello zaino ed ora, sciabolano la notte.
Lanciano sprazzi di luce nei roveti, nel fitto intreccio del bosco, indicatori della via e della strada, segnali della presenza, rassicuranti, modeste e dignitose.
E lungo l’impervia mulattiera, verso la cima, pian piano, rispettosa del passo di ciascuno, si raggruppa e si riforma la colonna, si ricompatta; arricchita dalle personali diversissime esperienze di ognuno, accomunata dalla fatica, affratellata dalla gioia semplice e schietta dell’incontro.


E non è mai un serpentone salmodiante di ignavi intruppati per il desiderio di non sentirsi soli, o per la necessità di sentirsi accettati, o di compiacere, o di apparire, o di far parte di qualcosa a tutti i costi, anche rinnegandosi o facendosi usare.

E’ invece, e dev’essere, ed è, semplicemente, un camminare assieme ed un crescere interiore che si arricchisce nell’incontro, nello scambio, nel conoscere nuovi amici e nel ritrovarne di persi di vista, consci e liberi ciascuno delle proprie individualità, delle proprie storie, delle proprie vite.


Ed il cerchio delle stagioni, come il Cerchio della Vita, si rinnova.
E la natura ci rammenta che il freddo, la neve ed il ghiaccio che a volte ci attanagliano, sono utile parte di un ordinato, preciso svolgersi, utili e necessari elementi che preparano la Terra al risveglio primaverile, neve che protegge, acqua che irriga, affinché poi i semi abbiano il giusto per ben fiorire e dolcemente fruttificare.
Adeguati gli elementi, per la meraviglia dell’estate, nel trionfo della luce.
Precise le alternanze, affinché l’autunno sia maturità e conservazione vigile del buon raccolto, fortificazione dello spirito e del corpo, preparazione ad un altro inverno.


Troviamo le pause, ascoltiamo il nostro corpo, riflettiamo nell’animo, vagliamo nel silenzio, rileggiamo i segni ed i simboli.

Nessuna colonna giunge alla vetta se non quando ciascuno, e tutti, sono adeguatamente preparati ed attrezzati.
Ed in forza dell’apporto di ognuno, secondo le proprie abilità, attitudini ed inclinazioni, vi è la forza dell’assieme, la ricchezza dello sforzo, la sicurezza del procedere, la libertà dell’aderire, la gioia del risultato.

Sempre consapevoli che una base raggiunta è partenza per la successiva tappa, sempre convinti che franchezza, correttezza, equità e dignità sono le nostre sole armi.
Sempre rispettosi delle altrui libertà e sempre determinati nelle nostre libertà.

Ho detto.